Pubblicato da Redazione
il 24/02/2023
Insalate in busta, mele in vaschette di polistirolo, arance già sbucciate e vendute a spicchi in involucri di cellophan... la plastica nei supermercati ha ormai invaso gli scaffali dei reparti alimentari. In gergo si chiama quarta gamma, e riguarda tutti quei prodotti freschi già lavati e imbustati, pronti per il consumo.
Prodotti che vendono tempo libero ai consumatori, ma a un costo economico (fino al 600% in più degli omologhi freschi) e un impatto ambientale decisamente insostenibili.
Secondo le rilevazioni di mercato svolte da NielsenIQ, nel 2022 il settore ha superato i livelli di consumo pre-Covid, chiudendo l'anno con un valore complessivo pari a 982 milioni, +5,1% rispetto all'anno prima e + 5,4% per quanto riguarda i volumi. Più prodotti confezionati, più imballaggi, più gas serra prodotti e più rifiuti. Lo dicono i dati: secondo la Commissione Europea, il 40% della plastica utilizzata nell'UE va nel packaging, Anche perché solo 30% della plastica in UE viene riciclato, mentre il 70% finisce in discarica o negli inceneritori. Se continua così, la previsione è che i rifiuti da imballaggi in plastica aumenteranno del 46% entro il 2030.
Oltre l'impatto a valle della filiera, c'è l'impatto a monte: i prodotti della quarta gamma vengono coltivati in serre che si estendono su migliaia di ettari, trasformati con passaggi industriali fortemente energivori e venduti con un grande sovraprezzo rispetto al fresco tradizionale.
C’è davvero bisogno di tutta questa plastica? Noi pensiamo di no. Ecco perché lanciamo un appello alla grande distribuzione organizzata per la riduzione della plastica e degli imballaggi alimentari.