Mattino Cinque, Le Iene e persino Striscia la notizia, a dimostrazione che lo schiavismo nei campi della piana di Gioia Tauro fa parte ormai anche dell’immaginario pubblico anche delle trasmissioni più popolari, hanno raccontato come “nulla sia cambiato in sei anni”.
Il periodo di riferimento preso come metro di giudizio è quello della rivolta dei migranti, nonostante da decenni il caporalato e lo sfruttamento del lavoro in quella zona fosse ormai evidente a chiunque volesse veramente vederlo.
Che fine fanno le arance raccolte in quei nei campi? Qual è la responsabilità delle multinazionali, della grande distribuzione, dei commercianti, dei produttori, delle aziende di trasporti, delle agenzie di lavoro interinale?
È invece fondamentale e urgente indagare le cause, seguire i camion dove vengono scaricate le arance e i mandarini della piana di Gioia Tauro, svelare ai cittadini dove finisce il frutto di tutto quello sfruttamento, indagare quindi la filiera come abbiamo fatto con il rapporto Filiera Sporca, presentato lo scorso giugno da Terra!Onlus, daSud e Terrelibere, in cui individuiamo nei passaggi intermedi della catena che porta dal campo al supermercato, le ragioni del caporalato e dello sfruttamento del lavoro agricolo.
Da allora chiediamo costantemente al Governo e al Parlamento di introdurre leggi che rendano l’intera filiera agroalimentare trasparente, in tutti i suoi passaggi, e alla grande distribuzione e alle multinazionali di settore di rendere pubblico l’albo dei fornitori e dei subfornitori.
E intanto nei campi italiani si continua a morire. Talla Seck, senegalese, 56 anni, è morto pochi giorni fa per le esalazioni di un rudimentale braciere che gli serviva per scaldarsi. Viveva in una tendopoli improvvisata in Puglia.