Pubblicato da Fabio Ciconte
il 18/03/2023
Dopo ogni azione di protesta del mondo ambientalista, specialmente quando si tratta di Ultima generazione, puntale come un orologio arrivano le reazioni di indignazione. Come per magia, la discussione di polarizza tra chi è convinto che “imbrattare i monumenti”, fermare il traffico, sporcare famosi dipinti con vernici lavabili sia semplicemente un atto vandalico che non aiuta la causa ecologista e chi, al contrario, pensa che quel tipo di azioni di protesta sia l’unico modo per far sentire la propria voce.
L’ultima in ordine di tempo è successa a Firenze quando un gruppo di attiviste e attivisti di Ultima Generazione, venerdì scorso, ha usato della vernice lavabile (talmente lavabile che è stata lavata pochi minuti dopo) sulle pareti di Palazzo Vecchio.
Di quel momento ricorderemo il contro-attivismo del sindaco fiorentino Dario Nardella e, soprattutto, quella vastità di meme, video, tweet, post di vario genere che giocavano sull’accaduto.
Lo dico subito, se fossi stato il sindaco di Firenze non so come avrei reagito trovandomi lì, quindi vorrei evitare di commentare l’accadimento in sé.
Vorrei però partire da lì, da quelle immagini che hanno fatto il giro del mondo, per fare un paio di considerazioni.
La prima è sul metodo della protesta.
Ogni volta che succede una cosa del genere arriva sempre il rimbrotto da parte di qualche membro delle istituzioni, da qualche adulto che, forte della sua presunta esperienza, si sente in dovere di criticare i “ragazzi che sbagliano”. Succede sempre, a destra e a sinistra. Il sindaco Nardella è caduto nello stesso tranello perché, a ventiquattro ore dall’accaduto, con una serie di tweet si è detto “convinto che non servano azioni eclatanti, individuali e divisive” ma “politiche drastiche del governo”. Io sono convinto del contrario perché è proprio grazie a quelle "azioni eclatanti e divisive” che oggi tutti hanno capito che la crisi climatica non è uno scherzo, che la siccità che stiamo attraversando è un dramma per gli ecosistemi e per interi settori economici della società, a partire dall’agricoltura, quindi dal cibo che mangiamo.
Quando, ormai 15 anni fa, abbiamo fondato Terra! una delle prima azioni eclatanti che abbiamo fatto per chiedere all’Europa di dotarsi di misure per abbattere le emissioni di CO2 è stata della di mettere delle maschere antigas e dei cartelli di “divieto di CO2” su tutte le statue di Roma. L’indomani, anche in quel caso, il dibatto su alcuni quotidiani nazionali (in primis il Corriere della Sera che accanto alla foto in prima pagina di una delle statue ha ospitato un editoriale critico di uno storico esponente del mondo ambientalista dell’epoca) si era concentrato sulla liceità di usare le statue (patrimonio culturale della città eterna) per protestare in difesa dell’ambiente e del clima. Già allora noi indicavamo la luna, il dibattito si concentrava sul dito. Già allora, chiedevamo di ridurre le emissioni di CO2 delle auto mentre oggi, 15 anni dopo, il governo Meloni è stretto in una difesa del diesel.
E allora mi chiedo: non è forse l’insieme di queste azioni eclatanti, di questi gesti apparentemente forti, che sono passati i cambiamenti più profondi della società?
Negli anni Novanta, l’attivista nigeriano Ken Saro-Wiwa, ha dovuto mettere in atto azioni eclatanti per difendere il popolo Ogoni dallo strapotere delle multinazionali petrolifere. E ha pagato con la vita le sue scelte.
Nelle prime settimane degli scioperi per il clima che Greta Tumberg faceva completamente sola, marinando la scuola, si disquisiva su quanto fosse giusta che una ragazza, poco più che adolescente, saltasse tutti quei giorni di scuola per protestare. “Per il clima poi!”, questo era il messaggio sotteso.
La storia è piena di attiviste e attivisti che hanno avuto la capacità di mettere in luce i problemi, anche attraverso azioni di questo tipo. Ogni volta le reazioni dei più è stata di disappunto, salvo poi rendersi conto che era quella indicata dagli attivisti la via giusta da seguire.
Da qui la seconda considerazione: prima di disquisire su quale sia la forma di protesta migliore, di scrivere il manuale del buon attivista che non fa danni e non disturba, non sarebbe arrivato il momento di chiedere scusa a quel movimento ambientalista che nonostante tutto, nonostante abbia ampiamente dimostrato di aver ragione, è stato trattato come un corpo estraneo della società?
Chiedere scusa, capire le ragioni profonde di quelle azioni, è il primo passo, quello fondamentale, per una reale riconversione ecologica.
Fabio Ciconte, Direttore Terra!