Pubblicato da Redazione
il 06/02/2024
Mentre la protesta (giusta) dei trattori avanza verso i palazzi delle istituzioni europee, bisogna compiere lo sforzo di leggere tra le diverse stratificazioni di queste piazze e imparare a decifrare le preoccupazioni che, pur con le dovute differenze, animano questo comparto, dove migliaia di agricoltori sono costretti a chiudere le proprie aziende agricole.
Parallelamente, in questi stessi giorni, assistiamo alla realizzazione di una strategia, partita almeno un paio di anni fa: screditare le misure ecologiche europee e attribuire all'ambientalismo ogni responsabilità della crisi del settore agricolo. L'obiettivo è chiaro: fermare l'avanzata di ogni ambizione green in Europa. L'operazione comunicativa della destra e delle lobby agricole, all'alba delle elezioni europee di giugno, sembra cioè chiara, creare una contrapposizione tra agricoltura e ambiente.
Ma per smantellare questa retorica, bisogna ricordarsi di almeno due cose: l'agricoltura in Europa non è tutta uguale. Il comparto è caratterizzato da un lato da ampi latifondi, che, proprio per le loro dimensioni riescono a drenare quasi tutti i finanziamenti della Politica agricola Comune (PAC) dal'altro da piccole e medie aziende, che invece fanno enormi sacrifici per coltivare secodo un metodo agroecologico, nel rispetto della biodiversità e dell'ambiente. C'è inoltre da ricordarsi che produrre cibo oggi non è più remunerativo. La scarsa redditività del settore, unita all'impatto dei cambiamenti climatici che rendono precario il lavoro in agricoltura, sta spingendo tante aziende a chiudere.
Eppure, per risalire all'origine di questo attacco alle politiche green in Europa, bisogna tornare allo scoppio della guerra in Ucraina, nel febbraio 2022, raccontato nel libro del nostro Fabio Ciconte, "L'ipocrisia dell'abbondanza" (Ed. Laterza, 2023). Il clima di paura e di incertezza sollevato dal conflitto russo-ucraino mette in crisi il processo di transizione ecologica, seppur timido, partito in Europa con il Green Deal, quel pacchetto di misure ambientaliste voluto dalla commissaria europea Ursula von del Leyen. In quei giorni, però, l'autosufficienza del continente europeo inizia ad essere messa in discussione. La guerra infatti rischia di far crollare "il granaio d'Europa", l'Ucraina, da cui molti paesi europei ed extraeuropei dipendono. Non ha importanza spiegare che l'Europa ha grano in abbondanza e riesce a soddisfare la domanda dei suoi cittadini, si dice "l'Europa deve tornare alla sovranità alimentare". Ma questa "sovranità alimentare" suona ben diversa da quella che ci è stata trasmessa dai movimenti contadini, che tutela biodiversità e ambiente. Questa sovranità alimentare significa invece "produrre, produrre, produrre".
Così le grandi lobby agricole iniziano a imporre alle istituzioni europee di produrre ovunque, di mettere in produzione cioè 4 milioni di ettari di aree verdi a uso agricolo, circa il 6 per cento della superficie coltivabile nell'Ue. E la Commissione approva così interventi eccezionali che vanno in questa direzione, nella direzione cioè di rendere il continente autonomo da un punto di vista alimentare. Ma ad un tratto la motivazione si perde e cioè che resta è solo una strategia produttivista che finisce per eliminare ogni provvedimento green.
E' a causa di tutto ciò che nella Direttiva sulle emissioni industriali, non vengono inserite le emissioni di allevamenti di bovini; è per la stessa ragione che l’Europarlamento si è opposto al taglio del 50 per cento dei pesticidi previsto dalla strategia Farm to fork o che la Nature restoration law abbia abolito tutte le misure previste per l'agricoltura.
Ma la verità è che aver ostacolato l'avanzata delle politiche green in Europa produrrà un danno soprattutto agli agricoltori e soprattutto a quanti vogliono iniziare questa transizione oggi, per continuare a produrre cibo domani.