Inizia la COP27 fra boicottaggi e scetticismo

Pubblicato da Redazione

il 07/11/2022

COP 27 main room


In mezzo a guerre, crisi dei prezzi delle materie prime e ai margini di una pandemia globale si apre la COP27, la Conferenza annuale della Convenzione ONU sul cambiamento climatico (UNFCCC). Si svolge in Egitto, a Sharm el-Sheikh, ed è un vertice che parte con meno legittimazione del solito. Se di norma riceve grandi critiche per l’incapacità di portare a decisioni ambiziose, quest’anno sarà ancora più criticato: molti attivisti infatti non andranno a seguire la COP, in aperta polemica con la decisione di svolgere un forum del genere in un paese che viola diritti umani. I costi proibitivi del viaggio e dell’alloggio, inoltre, hanno costretto a casa diversi delegati dei paesi più poveri, trasformando la COP27 in un summit d’élite.

Dal punto di vista politico-negoziale, visto che i dettagli del regolamento dell'Accordo di Parigi sono stati finalmente decisi alla COP26 dello scorso anno in Scozia, la presidenza egiziana ha detto che questa sarà una "COP di implementazione" delle misure concordate. Visto il contesto, c’è scetticismo sulla possibilità che una simile dichiarazione trovi riscontro nei fatti. I due nuovi rapporti su mitigazione e adattamento del Programma Ambientale delle Nazioni Unite hanno da poco sancito che gli impegni attuali stanno fallendo sia nel ridurre le emissioni che nel proteggere le persone dagli impatti climatici. Le nazioni ricche, inoltre, sono in ritardo nel mobilitare i finanziamenti per il clima a favore dei paesi in via di sviluppo, anche se gli investimenti pubblici nei combustibili fossili sono quasi raddoppiati nel 2021, raggiungendo i 697 miliardi di dollari a livello globale. 

La realtà è quindi che ci troviamo con una miriade di piani ed impegni, ma mancano i finanziamenti per metterli in atto. Di conseguenza il tempo passa e la finestra per l'azione climatica è ormai ai minimi termini. 


Di cosa si discuterà alla COP27?

Sul tavolo della COP si tenterà di riportare le questioni chiave che richiedono l'attenzione della comunità internazionale, tra cui i progressi nell'aumento dei tagli alle emissioni per mantenere gli obiettivi di riscaldamento dell'Accordo di Parigi a portata di mano. Il patto di Glasgow, siglato alla COP 26 nella capitale scozzese l’anno scorso, chiedeva a tutti i Paesi di "rivedere e rafforzare i propri obiettivi per il 2030" per raggiungere gli obiettivi definiti a Parigi nel 2015. Finora pochi paesi lo hanno fatto e la scadenza è la fine del 2022. Con una guerra di mezzo e un ritorno di fiamma dei combustibili fossili, sembra difficile che vengano avanzati piani credibili nel breve termine. Eppure, l’ultimo rapporto dell'Agenzia Internazionale per l'Energia ritiene che la guerra in Russia e la crisi energetica globale abbiano "messo il turbo" all'abbandono dei combustibili fossili, che ora dovrebbero raggiungere il picco entro cinque anni. Una previsione stridente con i tentativi disperati di ottenere più gas che il nostro paese e il resto d’Europa sta mettendo in atto, con il rischio che nuove infrastrutture fossili vengano costruite nel prossimo futuro da aziende che potrebbero non avere l’intenzione di dismetterle il prima possibile.

Altro capitolo importante in questa COP sarà quello dei fondi per il clima: si stanno intensificando le pressioni sui Paesi sviluppati affinché forniscano maggiori finanziamenti per il clima, dopo che non hanno raggiunto l'obiettivo di 100 miliardi di dollari originariamente fissato per il 2020. Il denaro dovrebbe servire per progetti di riduzione delle emissioni e adattamento al cambiamento climatico nei cosiddetti paesi in via di sviluppo, ma finora sull’adattamento c’è stata una scarsissima attenzione. I flussi finanziari internazionali per l'adattamento ai paesi in via di sviluppo sono 5-10 volte inferiori alle necessità stimate e il divario continua a crescere con il moltiplicarsi degli eventi estremi. Il fabbisogno annuale per l’adattamento è di 160-340 miliardi di dollari entro il 2030 e di 315-565 miliardi di dollari entro il 2050. Ad oggi, con due anni di ritardo, ne sono stati raccolti meno di 100, e solo in piccola parte per programmi di adattamento. Come se non bastasse, la maggior parte dei finanziamenti è stata elargita sotto forma di prestiti, cosa che i paesi meno sviluppati, sommersi dal debito pubblico, non possono più sostenere. 

I loro appelli vanno di pari passo con la richiesta di un nuovo strumento finanziario per ripagarli delle perdite e dei danni che hanno già subìto dal cambiamento climatico. I Paesi poveri del Sud del mondo devono infatti affrontare gli impatti più gravi della crisi, anche se hanno la minor responsabilità nell’emissione di gas serra. Ma i paesi ricchi hanno fino ad oggi mandato all’aria ogni negoziato su perdite e danni (loss and damage), perché non vogliono accettare la prospettiva di avere responsabilità storiche nella crisi climatica, o a quel punto sarebbero costretti ad onorarle.


Cibo e agricoltura alla COP27

Saranno questi i pilastri attorno a cui ruoterà il negoziato di Sharm el Sheikh, ma quest’anno ci sarà uno spazio più ampio per i temi del cibo e dell’agricoltura: la COP27 sarà infatti il primo vertice delle Nazioni Unite sul clima a ospitare un padiglione dedicato, gestito dalla FAO. Gli eventi collaterali sul cibo saranno più di uno, e lo stesso governo egiziano organizzerà prima una una tavola rotonda su cambiamento climatico e sicurezza alimentare (7 novembre) e poi una giornata tematica dedicata ad agricoltura e adattamento al cambiamento climatico (12 novembre). L'Egitto guiderà inoltre i negoziati per consolidare un programma di lavoro specifico dell’UNFCCC su clima e agricoltura, creato tra il 2008 e il 2010 ma finito sempre in secondo o terzo piano. Questa volta la FAO intende rilanciare e sta lavorando con il governo per ritagliare uno spazio maggiore nel negoziato alle relazioni fra politiche per il clima e sistemi alimentari.


Il rischio di greenwashing è alto, perché uno dei modi con cui l’agricoltura può entrare nelle politiche per il clima è offrendo i suoi suoli al sequestro di carbonio emesso dalle grandi industrie. L’uso dei suoli agricoli come serbatoi di carbonio verrebbe impostato attraverso un sistema di conteggi dell’assorbimento poco credibile, legato ad un mercato di compravendita dei crediti di carbonio che finora non ha mai funzionato. Ne abbiamo scritto qualche tempo fa su Il Tascabile, dove troverete una ricostruzione del meccanismo su cui oggi si basa la gran dell’attuazione degli impegni climatici, e che presto potrebbe fagocitare anche le attività agricole, usate per ripulire la coscienza dei grandi inquinatori senza alcun sostanziale beneficio per l’atmosfera.

 

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