Pubblicato da Redazione
il 08/03/2022
I due anni di pandemia hanno dato una accelerazione importante a un fenomeno già in crescita, come quello degli acquisti online.
Prima dell’ondata pandemica il valore dell’e-commerce valeva 13 miliardi di euro. Oggi abbiamo superato i 30 miliardi.
Sono numeri impressionanti che ci raccontano di quanto velocemente si stia trasformando la società.
Pensiamo al cibo: da quando siamo stati costretti nelle nostre case è diventato sempre più normale ordinare con l’estensione della nostra mano, cioè il telefono, cibo pronto a casa, farsi portare la spesa. Solo nel 2020 ci sono stati 39milioni di ordini.
Parliamo di un mercato che, da solo, vale più di 2 miliardi di euro.
Tra queste, primeggiano le dark kitchen, le “cucine oscure” o “cucine fantasma”, locali in cui il cibo viene preparato per la consegna a domicilio, che non hanno una sala da pranzo o dei camerieri.
Le dark kitchen eliminano tutto il servizio al cliente, risparmiando sull’affitto della sala. Sono cucine senza ristorante, che abbattono i costi e rinunciano al rapporto diretto con il cliente.
Si affidano alle piattaforme di logistica da cui noi ordiniamo tramite app, ma anche ai volantini che troviamo nella nostra buca delle lettere, sui quali non troveremo l’indirizzo di un locale, ma solo il menù e un numero di telefono. Molti ex ristoratori investono nelle cucine oscure: secondo l’Osservatorio ristorazione 2021, il 27 per cento ha creato in periodo di pandemia una dark kitchen oppure un brand virtuale. A volte anche condividendo locali e strutture per ridurre ulteriormente i costi.
Ma sono tanti i rischi che si celano in questo nuovo trend di consumo. In questa disintermediazione crescente tra produzione e consumo, sarà sempre più difficile tracciare ad esempio la provenienza dei prodotti e la loro qualità, così come valutare il rispetto delle norme igienico-sanitarie e soprattutto dei diritti del lavoro. È il prezzo da pagare per avere tutto e subito, a un prezzo competitivo.
Poi ci sono i dark market, chiusi al pubblico e aperti solo ai riders 24 ore su 24, piattaforme, app, che basano tutto sulla velocità della consegna, garantendo una spesa a casa in dieci minuti.
Dal momento in cui io faccio la mia spesa on line (frutta, verdura, pane, prodotti confezionati), a quel punto, il sistema invia l’informazione al darkstore. Al suo interno c’è un addetto alla preparazione della busta che, con una media di 83 sec, prepara la nostra busta della spesa e la consegna al rider che a sua volta avrà pochissimi minuti per consegnarla.
Stiamo parlando di aziende che nel giro di due anni e attraverso sofisticate finanziarizzazioni, hanno raggiunto fatturati di 1 miliardo di dollari.
Sono 45 milioni i lavoratori dell'ecommerce e la domanda delle compagnie di food delivery è in continuo aumento.
In questi anni, ci sono state diverse battaglie lanciate proprio dagli stessi lavoratori per farsi riconoscere come lavoratori subordinati . A marzo dello scorso anno, per la prima volta, i rider delle principali piattaforme hanno proclamato uno sciopero nazionale, chiedendo agli utenti di non ordinare cibo a domicilio quel giorno, e quindi di solidarizzare con la loro protesta.
Quello sciopero ha portato a notevoli miglioramenti. I riders che lavorano per Just Eat diventeranno lavoratori dipendenti e hanno ottenuto il contratto della logistica. L’accordo è stato firmato dall’azienda con le categorie di Cgil, Cisl, Uil dei trasporti e dei lavoratori atipici proprio all'indomani della mobilitazione. Eppure non mancano casi di profondo sfruttamento, che in alcuni casi sfociano nel caporalato.
Solo lo scorso ottobre, per la prima volta in Italia, il Tribunale di Milano formulava la prima condanna per caporalato digitale tanto alla manager di Uber Eats quanto a uno dei responsabili di una delle società di intermediazione che reclutava rider per la multinazionale statunitense. Una sentenza innovativa perché ha affermato l’esistenza dell’intermediazione illegale di manodopera anche nell’economia digitale. I rider erano pagati a cottimo «3 euro», «derubati» delle mance e «puniti» con una decurtazione dei compensi.
La pandemia prima, la crisi energetica e ora la guerra, ci sta consegnando una società in cui le disuguaglianze crescono enormemente.
Oggi stanno aumentando i costi di produzione. La crisi energetica e la guerra ci stanno mostrando un sistema agroalimentare che spesso è insostenibile e si basa sullo sfruttamento delle risorse naturali.
Ora è il tempo di agire su due fronti. Il primo è trasformare i sistemi alimentari, renderli sostenibili, rimettere in contatto la produzione di cibo con i consumatori. L'altro è ridare il potere di acquisto alle lavoratrici e ai lavoratori. Continuare a credere che i consumatori riescano, da soli, a cambiare il mercato, aggraverà solo questa tendenza al risparmio.
Negli ultimi anni si sta assistendo a una crescita imponente dei discount. In ci siamo trovati spesso a denunciare alcune delle loro pratiche sleali- come le aste al doppio ribasso, organizzate anche in piena pandemia- perché dietro quel prezzo basso c'è una filiera agricola in affanno.
Ma se la politica resta immobile di fronte all'impoverimento dei cittadini, questa tendenza si aggraverà sempre di più, con effetti negativi, e per la qualità dell'alimentazione e per la salute della nostra agricoltura.
Con il direttore Fabio Ciconte, siamo stati ospiti di GEO, su Rai 3, a parlare di questo tema.
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