Pubblicato da Redazione
il 27/07/2023
Tra "downburst" e "supercelle", gli eventi atmosferici di queste settimane stanno cambiando anche il nostro vocabolario quotidiano. Ma c'è solo un nome per definire quello a cui stiamo assistendo: crisi climatica.
Una crisi globale, che non risparmia nessuno, dalla ricca Europa al Nord Africa, dalla Siria all'India. Una crisi che da noi incontra l'inefficacia di una classe politica impreparata, che si affanna a mettere in campo soluzioni di emergenza e improvvisate, come il Dl del governo Meloni per fronteggiare l’emergenza caldo, approvato il 26 luglio scorso.
Mentre pochi giorni fa black out e crisi idrica mettevano in ginocchio Catania e l'aeroporto di Palermo e Cinisi andavano a fuoco, la provincia milanese e il Nord est sono stati colpiti da venti fortissimi seguiti da piogge dagli effetti distruttivi (downburst) e da piccoli cicloni (supercelle). E' l'impatto dell'aumento delle temperature globali e chi si ostina a chiamarlo "maltempo" non ha ancora afferrato la gravità di ciò che sta accadendo. Anche perché l'Italia rischia di avere incontri ravvicinati di questo tipo ancora per molto tempo, in quanto "hotspot climatico", cioè uno dei tanti "punti caldi" nel mondo, che si sta surriscaldando più rapidamente di altri.
La prova è negli eventi estremi che hanno toccato la nostra penisola negli ultimi vent'anni. Secondo il Centro Euro-Mediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc), in questo lasso di tempo, la probabilità del rischio da eventi estremi in Italia è aumentata del 9%. Siamo passati dai 114 eventi del 2002 ai 492 del 2012 fino agli oltre 3000 dello scorso anno. E come predice il Cmcc, i danni, oltre ad essere ambientali, riguarderanno le attività economiche, in primis l'agricoltura, le infrastrutture e il settore turistico, che andrebbero dunque ripensate completamente.
La prova è in quello che abbiamo visto in Emilia-Romagna con l'alluvione di maggio, che ha raso a zero interi paesi e coltivazioni agricole. Ed è in quello che abbiamo visto, pochi giorni fa, a Montalto di Castro, nel viterbese, in un campo di angurie, dove il tunisino Naceur Messauodi è morto, forse colto da un malore improvviso legato al forte caldo o a Sabaudia, nell'Agro pontino, dove è stato ritrovato morto nel suo alloggio Singh Rupinder, cittadino indiano, dopo aver lavorato 9 ore in un campo a raccogliere melanzane.
Episodi apparentemente lontani che ci parlano di un sistema insostenibile, che a queste condizioni rende impossibile la vita e il lavoro. Un sistema che l'attuale governo pensa di aggredire con provvedimenti spot, con un Decreto che estende la possibilità di accedere alla cassa integrazione per i lavoratori dell'edilizia e dell'agricoltura, i settori con più vittime per il caldo. Eppure i lavoratori contemplati nel decreto sono solo quelli che hanno un contratto a tempo indeterminato, mentre gli stagionali, gli agricoli, i lavoratori con contratto a tempo determinato, cioè le colonne del comparto dovranno continuare a lavorare come se niente fosse. Due volte vittime insomma: dello sfruttamento e della crisi climatica.
E' quello che vi raccontiamo ogni giorno, attraverso il lavoro che facciamo sulle filiere del cibo. Perché questa crisi climatica ci dice tanto dell'approccio che abbiamo avuto e ancora abbiamo nei confronti degli ecosistemi e quindi del modello produttivo che abbiamo imposto, un modello fallimentare. Un modello basato sull'estrattivismo imperituro. Il tutto mentre il nostro ministro dell'Ambiente Pichetto Fratin mette in dubbio pubblicamente l'impronta antropica di questi fenomeni.
E a farne le spese ci siamo noi. Chi lavora nei campi nelle ore più calde appunto, chi si mette in viaggio da luoghi ormai inabitabili della Terra, chi vive ai margini. Una massa in(de)finita di persone che subisce decisioni prese da altri.
Ma è giunto il tempo di riprendere la parola!
E' tempo di ripensare il nostro pianeta.
Un pianeta più giusto e più vivibile!