Pubblicato da Redazione
il 16/10/2023
Come associazione ambientalista che si occupa di filiere del cibo, ci siamo dati come obiettivo quello di lavorare per la trasformazione dei sistemi di produzione alimentare, da un punto di vista sociale e ambientale.
I sistemi alimentari, dalla terra alla tavola, oltre ad essere vittime dei cambiamenti climatici, sono infatti responsabili a livello globale di una quota fra il 23 e il 37% delle emissioni di gas serra che causano il riscaldamento globale.
L'agricoltura, nello specifico, è uno dei settori maggiormente responsabili dei consumi idrici, quindi anche di carestie e povertà. E proprio al tema del consumo di acqua nella produzione del cibo è dedicata la Giornata Mondiale dell'Alimentazione 2023.
Negli ultimi anni, il combinato disposto di inquinamento, crescita della popolazione, eccessiva estrazione di acqua dalle falde e cambiamenti climatici, hanno ridotto la disponibilità di acqua.
Oggi secondo la FAO, sono 2,4 miliardi le persone nel mondo che risentono di uno stress idrico. Da chi lavora la terra a chi non può accedere ad un'alimentazione sana e equilibrata. Non solo. Quello stesso stress idrico oggi ha già intaccato il 60% dell’agricoltura mondiale, in particolare per quanto riguarda canna da zucchero, grano, riso e mais.
Ecco perché lavoriamo per promuovere modelli produttivi diversi, basati sulla cura del pianeta, quindi sulla tutela della biodiversità, che contemplino una riduzione degli alimenti di origine animale, responsabili del consumo di miliardi di metri cubi di acqua ogni anno.
Un modello che metta al centro il cibo di qualità. E non come un bene di lusso, ma come un diritto, così come è stato sancito nella Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo nel 1948. Un diritto rivendicabile da chiunque, a prescindere dalla provenienza sociale.
Oggi restituire valore al cibo vuol dire però rivedere anche il suo prezzo. Perché, come denunciamo con inchieste e campagne da tempo e come il nostro direttore Fabio Ciconte ha denunciato nel suo ultimo libro "L'ipocrisia dell'abbondanza", continuiamo a sottopagare il cibo che acquistiamo. Continuiamo cioè a pagare il cibo, senza contemplare il suo impatto climatico, le sue cosiddette "esternalità negative".
Eppure, i cittadini e le cittadine non possono farsi carico da soli del giusto prezzo da riconoscere a chi quel cibo lo produce, ma c'è bisogno che la politica intervenga affinché tutte e tutti possano partecipare al cambiamento!
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