Pubblicato da Redazione
il 03/11/2017
Una multinazionale britannica ha concluso contratti di fornitura con l’azienda agricola di Rita De Rubertis a Nardò, dove il 20 luglio 2015 è morto il lavoratore sudanese Abdullah Muhamed che raccoglieva pomodorini senza contratto dopo essere stato reclutato da un caporale. Il prodotto era venduto a tre grandi aziende nazionali, tra cui Mutti e Conserve Italia (proprietaria del marchio Cirio), che hanno dichiarato di aver interrotto ogni tipo di relazione commerciale con la ditta a partire dal 2015.
Nel 2016, invece, a rivolgersi a De Rubertis per comprare la materia prima è stata la Princes industrie alimentari, filiale del Princes food and drink group. “Possiamo confermare che dal 2016 ci siamo riforniti di pomodoro dall’azienda De Rubertis e che dalle nostre verifiche e dai controlli fatti negli ultimi due anni, non abbiamo riscontrato alcuna prova di illegalità”, ha dichiarato a Internazionale un portavoce della multinazionale del pomodoro.
Rimane da capire cosa abbia spinto la Princes a rifornirsi da una ditta accusata di capolarato
La Princes è di proprietà del gigante giapponese Mitsubishi e fornisce gran parte della grande distribuzione britannica, francese e tedesca. Oltre al marchio Napolina, che si può trovare in molti supermercati nel Regno Unito, assicura la produzione di diversi marchi commerciali che vengono messi a scaffale con le insegne dei supermercati. La trasformazione della materia prima si svolge nel grande stabilimento di Incoronata, in provincia di Foggia, che Princes ha acquisito nel 2011 da Antonino Russo, già noto nell’ambiente come “il re del pomodoro”. Dopo la morte di Abdullah Muhamed, la procura di Lecce ha rinviato a giudizio per caporalato e omicidio colposo Mohamed Elsalih e Giuseppe Mariano, titolare de facto dell’azienda agricola, mentre Rita De Rubertis, moglie di Mariano e proprietaria dell’azienda, è stata considerata una semplice prestanome e per questo non è stata indagata. Nessuna ipotesi di reato è stata ravvisata per i committenti dell’azienda agricola, che non sono responsabili penalmente di quanto avviene nei campi. Nonostante non ci sia nessun illecito, rimane da capire cosa abbia spinto una multinazionale come la Princes a rifornirsi da una ditta dove è morto un bracciante nei campi, la cui titolare è una prestanome del marito sotto inchiesta per omicidio colposo. “Nel 2016 e 2017 abbiamo tenuto dei momenti di formazione sulla eticità del lavoro a cui ha partecipato anche Rita De Rubertis”, dice il portavoce della Princes.
Le responsabilità dei vertici
Questa vicenda svela che ci sono dei problemi non solo nei campi, ma anche ai vertici della filiera. Per esempio, cosa dovrebbero fare la grande distribuzione e l’industria per non prestarsi ed evitare i casi di sfruttamento nell’Italia del sud? Il portavoce di Princes riconosce che “la tragica morte del signor Muhamed mostra che ci sono ancora questioni importanti da affrontare quando si parla di lavoro illegale nel settore del pomodoro in Italia. Stiamo incoraggiando pratiche etiche ed esortando tutti gli attori coinvolti ad approfondire la conoscenza del ruolo che distribuzione, industrie di trasformazione e aziende agricole hanno o possono avere nella promozione di cambiamenti positivi”, aggiunge. La legge contro il caporalato, approvata nel 2016, punisce i caporali e i titolari delle aziende agricole condannate per sfruttamento con pene anche molto severe (fino al sequestro dell’azienda) ma non identifica alcuna responsabilità negli anelli successivi. Nel Regno Unito la situazione è un po’ diversa: il Modern slavery act, approvato nel 2015, prevede che le aziende con un fatturato superiore ai 36 milioni di sterline dimostrino che non ci sia stato sfruttamento in nessuna fase della loro filiera di rifornimento. La legge dunque richiede, e in un certo senso impone, ai grandi industriali e alle grandi catene commerciali un’attenzione particolare su quanto succede a valle del processo di produzione e stabilisce un ruolo molto più attivo di quello attualmente previsto dalla legislazione italiana e di altri paesi europei.
Una questione ancora aperta
Per il reale contrasto del caporalato bisognerebbe occuparsi anche delle modalità di reclutamento. Oggi, un imprenditore agricolo dell’Italia del sud che abbia bisogno di manodopera si trova spesso nell’impossibilità di rivolgersi agli uffici di collocamento, del tutto inefficienti, e spesso ricorre a intermediazioni informali. L’esperienza britannica, anche in questo caso, è di un certo interesse: a partire dal 2005, il governo britannico ha creato la Gangmasters and labour abuse authority, un’autorità che rilascia le licenze a chi si occupa di trovare i lavoratori per le aziende agricole, ortofrutticole e itticultrici che ne hanno bisogno. Questo passaggio ha favorito la progressiva legalizzazione di fenomeni di intermediazione illecita e di caporalato, che erano diffusi anche nel Regno Unito. Intanto, dopo la pubblicazione della notizia, il ministro dell’agricoltura Maurizio Martina ha convocato per l’8 novembre un tavolo di concertazione per la tracciabilità e la trasparenza della filiera del pomodoro.