Pubblicato da Redazione
il 11/11/2024
I dati di Copernicus, il servizio europeo di monitoraggio sui cambiamenti climatici, l'hanno simbolicamente annunciata. Da oggi, a Baku, Azerbaigian, si apre la nuova Conferenza delle Parti dedicata al clima, la COP29.
Sebbene diversi saranno i tentativi di dribblare le responsabilità del collasso globale in questo paese del centro Asia ostaggio delle fonti fossili, non si potrà però sfuggire a questo dato: il 2024 è l'anno più caldo mai registrato e il primo a superare la soglia di 1.5°C.
Sono sicuramente due gli eventi recenti che rischiano di condizionare le sorti di questa Conferenza. Il primo è l'alluvione Dana a Valencia, in Spagna, dove le vittime sono arrivate a 222 e il numero di dispersi si attesta sulla quarantina. Il secondo è l'elezione statunitense, che ha visto la vittoria di Donald Trump. Il presidente americano ha un posto di rilievo nell'accolita dei negazionisti climatici a livello globale e già prima del 4 novembre scorso, giorno dello spoglio elettorale, aveva annunciato che gli Stati Uniti, in caso di vittoria dei repubblicani, si sarebbero uniti all'Iran, allo Yemen e alla Libia, ai paesi che cioè respingono l’accordo di Parigi del 2015 (quello che ha fissato a -1.5°C l'aumento di temperatura).
Quanto all'Unione Europea, c'è penuria di rappresentanza. E questo, visto il vuoto politico sul fronte climatico degli States, che comunque saranno presenti a Baku con i delegati dell'ex presidente Biden, non è una buona notizia. Saranno assenti la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, il presidente francese Emmanuel Macron, il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il premier olandese Dick Schoof. L'Ue sarà rappresentata dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel, dal commissario europeo per l'Azione per il clima Wopke Hoekstra e dalla presidenza ungherese del Consiglio.
Le direttrici dell'Ue a Baku saranno due e si muoveranno sulla traccia dell'ambizione e dell'azione. La prima si riferisce cioè alla bravura e alla visione degli stati membri che dovranno lavorare a piani nazionali per favorire realmente una mitigazione in tutti i settori e per raggiungere quindi un abbassamento delle emissioni di CO2 in atmosfera. La seconda, invece, si riferisce al ruolo cruciale dei finanziamenti, senza i quali i piani nazionali non possono partire e soprattutto essere attuati.
Sul piano dei finanziamenti per clima, il Consiglio UE ha stabilito di mettere a disposizione 100 miliardi di dollari all'anno entro il 2025 per aiutare i paesi in via di sviluppo ad affrontare gli effetti dei cambiamenti climatici. Ora, questo obiettivo, raggiunto per la prima volta nel 2022, deve essere rinnovato.
Il problema dei finanziamenti, attorno a cui ruoterà buona parte di questa Cop 29, è sempre più cruciale e concerne sia le iniziative per la riduzione delle emissioni sia i progetti di adattamento al cambiamento climatico nei paesi in via di sviluppo. C'è chi accusa i grandi inquinatori, come Cina e Stati del Golfo, di non fare abbastanza pur avendo una responsabilità enorme della situazione che viviamo oggi.
Ciò di cui si discuterà in Azerbaigian quindi è, in gergo, il “Nuovo obiettivo finanziario per il clima” (NCQG). I paesi delle Nazioni Unite devono stabilire cioè quanti soldi saranno spesi nei prossimi anni, con quali tempistiche e in che misura saranno concessi dagli stati, dalle banche di sviluppo (come la Banca Mondiale) o dagli enti privati e ancora, in che formula saranno erogati, se come donazioni a fondo perduto o come prestiti con interessi (come si è fatto finora).
I finanziamenti concessi finora sono stati principalmente spesi per azioni di mitigazione, volti cioè a ridurre le emissioni, come ad esempio l'installazione di impianti di energia rinnovabile. Pochi invece in iniziative di adattamento.
Oggi i paesi in via di sviluppo chiedono che una parte dei nuovi fondi siano utilizzati per riparare i danni dei cambiamenti climatici e degli eventi estremi nei loro paesi. Proprio a questo scopo, nella Cop dello scorso anno a Dubai, è stato introdotto il Fondo per le perdite e i danni.
Nel frattempo, le accuse delle associazioni ambientaliste che hanno criticato la scelta di organizzare un'ennesima Cop in un paese legato agli interessi delle multinazionali del petrolio, dopo Egitto e Arabia Saudita, al terzo giorno hanno trovato già una ragion d'essere.
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni non si è lasciata scappare un'occasione ghiotta, come quella di una Cop29 senza rappresentanti europei, per portare a Baku il programma del centro destra italiano in campo energetico.
Meloni ha dichiarato: "Non dobbiamo usare solo le rinnovabili, ma tutte le tecnologie disponibili: il gas naturale, i biocarburanti, l’idrogeno, la cattura e stoccaggio di CO2 e, molto presto la fusione nucleare, che potrebbe produrre energia pulita, sicura e senza limiti". Si è soffermata sulla fusione nucleare come metodo "all'avanguardia" per ridurre le emissioni di gas serra. Eppure la ricetta sventolata dal governo italiano a Baku ha tutto il sapore della vacuità, sia perché prima del 2050-2060, stando a quanto dicono gli esperti, nessun paese sarà in grado di produrre energia dalla tecnica della fusione e sia per i limiti ambientali di questa proposta, nonostante le distinzioni tra fusione nucleare e fissione nucleare (la tecnologia usata nelle centrali nucleari di oggi).
La cosa che però deve interrogarci è la visione del governo italiano sulla crisi che colpisce il pianeta e che, solo poche settimane fa, metteva in ginocchio l'Emilia Romagna, che in queste ore sta piegando la città di Catania, in Sicilia. "Casa nostra", come ad alcuni membri di centro destra piace definirla. Come si può pensare di contrastare la crisi climatica con ricette che prevedono tempi di sperimentazione così lunghi o vecchi "farmaci" come il gas? Abbiamo tutto questo tempo? Possiamo permetterci questa superficialità? La risposta è "no".