Pubblicato da Redazione
il 28/06/2024
A distanza di pochi giorni, la Procura di Asti ha aperto un'inchiesta su un allevamento avicolo nella provincia piemontese. L'accusa è quella di aver utilizzato manodopera in nero, pagata 4-5 euro l'ora per la macellazione e per caricare tir con il pollame allevato, destinati ai colossi della distribuzione nel nostro paese. Il compenso per ogni tir riempito era di 5 euro a testa. E ogni tir arrivava a contenere 1.500 animali.
Senza dispositivi di sicurezza sul luogo di lavoro, i lavoratori venivano prelevati dal centro di accoglienza e portati in azienda. La base di una spirale di sfruttamento, che vede tantissimi soggetti coinvolti: dai datori di lavoro al caporale alla grande distribuzione - i supermercati in cui facciamo la spesa- basata su un sistema al ribasso, che lede i diritti di lavoratrici e lavoratori agricoli, che abbiamo denunciato fortemente con le nostre inchieste e i nostri report.
Come con Terra! abbiamo denunciato nel report "Cibo e sfruttamento. Made in Lombardia", quella dello sfruttamento dei lavoratori è l'altra faccia crudele dell'impatto degli allevamenti nel nostro paese. Con l'associazione Essere Animali, un anno fa, siamo entrati in alcuni stabilimenti lombardi della provincia mantovana e cremonese, assistendo a scene indescrivibili: ratti, sporcizia, animali stipati e impossibilitati a moversi. Volevamo raccontare, oltre alle dure condizioni di lavoro della manodopera, anche lo sfruttamento animale.
Oggi, la vicenda di Asti rafforza la denuncia che abbiamo lanciato: lo sfruttamento c'è ed è forte anche al Nord, riguarda i campi, riguarda gli allevamenti. Nei complessi industriali di allevamento e macellazione, abbiamo incontrato sulla stessa linea di lavoro lavoratori diretti e lavoratori reclutati dalle cooperative senza terra. Quelle organizzazioni intermediarie, che spesso in accordo con il datore di lavoro, reclutano i lavoratori comprimendo i loro salari, senza garantire diritto alcuno, né malattia né infortunio. Non solo. Spesso ai lavoratori che dovrebbero avere un contratto industriale spesso viene "offerto" un contratto agricolo, perché più redditizio per il datore di lavoro.
Questi luoghi, che ormai hanno modificato completamente i paesaggi agricoli del Nord Italia, impattano sulle nostre vite più di quanto immaginiamo. Il settore agricolo europeo, infatti, è responsabile di circa il 12 per cento delle emissioni di gas serra Ue e, di queste, quasi il 70 per cento arriva dagli allevamenti.
Ecco perché, insieme ad una coalizione formata da Green Peace, Lipu, WWF, Isde- Medici per l'ambiente- Terra! sta lavorando alla proposta di legge "Oltre gli allevamenti intensivi". Una proposta che vuole riconvertire il settore zootecnico da un punto di vista ambientale e sociale, mettendo al centro politiche e meccanismi di sostegno, ma anche aziende agricole di piccole dimensioni che adottano metodi agroecologici. E non più il sistema dei grandi allevamenti intensivi così come avviene attualmente (l’80% dei fondi europei per l’agricoltura italiana finisce nelle casse di un 20% di grandi aziende agricole).
Non trasformare in legge proposte come questa, significa impedire la crescita e la conversione del settore agricolo. E significa lasciare indietro lavoratrici e lavoratori, che vedranno erosi i loro diritti sempre più e che si allontaneranno da questo comparto; alcuni datori di lavoro, quelli che faticano per assicurare uno stipendio dignitoso ai propri dipendenti; ma anche noi cittadine e cittadini, ignari sempre più di quello che troviamo sulle nostre tavole.
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