Pubblicato da Redazione
il 02/10/2021
Di Fabio Ciconte e Francesco Panié per Domani
È il luogo preferito dai candidati in campagna elettorale, specialmente alle amministrative. Perché il mercato rionale rappresenta, ancora oggi, l’agorà pubblica per eccellenza, lo spazio della vita cittadina. Al mercato puoi scoprire una ricetta tipica o ricevere ottimi consigli per “capare” al meglio i carciofi. Puoi parlare di attualità e di sport con il tuo commerciante o contadino di fiducia. È per questa sua forza aggregativa e per la sua capacità di evocare un immaginario “popolare”, che il mercato rionale è oggetto di interesse per tutti i politici in cerca di consenso e di fotografie che li ritraggano vicini alle persone. Anche quest’anno non fa eccezione: da Milano a Roma, da Torino a Napoli, i candidati sindaci alle elezioni amministrative del 3-4- ottobre e i loro sponsor nazionali stanno organizzando numerosi eventi dentro i mercati, li attraversano come in tour uno ad uno. E tuttavia, a leggere i loro programmi - con Terra! lo abbiamo fatto - non c’è traccia di un rilancio della funzione originaria e principale del mercato, cioè l’essere il luogo di incontro tra la città e le sue campagne, in cui lo sforzo dell’agricoltore trova la sua ricompensa. Non c’è quasi mai traccia concreta, a dire il vero, di una strategia organica e ragionata su come rafforzare il legame tra agricoltura del territorio e consumatori dei centri urbani. Ma il cibo, negli anni in cui la pandemia ha sfilacciato le filiere e allargato la forbice delle diseguaglianze - è di importanza cruciale da tutti i punti di vista: economico, ecologico, sociale, culturale. Spingere una città a mangiare ciò che producono le sue campagne dovrebbe essere una delle priorità del sindaco, della sua Giunta e del Consiglio comunale. Le filiere corte e i circuiti di commercializzazione locali, invece, sono spesso lasciati a se stessi, alla buona volontà e all’autorganizzazione. Manca una politica del cibo che faciliti, supporti, finanzi l’agroecologia sui territori e i canali di vendita per i prodotti locali, costretti sempre più a una competizione insostenibile con quelli importati dal mercato mondiale. La rilocalizzazione dei sistemi alimentari deve diventare al più presto un obiettivo fondamentale delle città, ma richiede lavoro, competenze e visione politica. Qualità che emergono poco dalle proposte che abbiamo analizzato in queste settimane.
Leggi il rapporto "Una food policy per Roma"
È vero, i programmi elettorali - specialmente alle amministrative - sono quasi sempre scritti sull’acqua, disattesi un attimo dopo il verdetto delle urne e relegati nel dimenticatoio. Ma non per questo dobbiamo fingere che non servano a nulla. Quantomeno, ci restituiscono un’idea della visione - vera o presunta - che i candidati hanno del comune o della regione che si accingono ad amministrare. È sulle promesse contenute nei programmi che si misura coerenza e serietà di sindaci e governatori. A dire il vero, queste qualità sono state spesso messe a dura prova dal continuo sbocciare di aggiornamenti al programma da parte di alcuni candidati. Forse perché, in certi casi, a due settimane dal voto non esistevano ancora nemmeno i siti internet. Nel momento in cui questo articolo va in pagina, non sappiamo dire se siano stati infilati in extremis nuovi paragrafi per tappare i buchi.
Ad oggi, questo è certo, il giudizio è piuttosto deludente, perché il tema del cibo e dell’agricoltura risulta tristemente marginale o - peggio - del tutto assente. Ed è un grave problema: basti pensare che già oggi, secondo le Nazioni Unite, il 55% della popolazione mondiale vive in ambienti urbani e la tendenza globale è in costante crescita. Le proiezioni indicano che entro il 2050 questo numero salirà al 68%, soglia che nel nostro Paese è stata superata già nel 2018. Attualmente più del 70% degli italiani vive in contesti urbanizzati, con evidenti ripercussioni dal punto di vista ecologico, dei servizi, del lavoro e del cibo. La domanda alimentare viene infatti per la gran parte dalle città, mentre le campagne soffrono lo spopolamento e la disconnessione dal centro.
Tuttavia, per la stragrande maggioranza, i nostri aspiranti sindaci sembrano pensare che i loro cittadini si nutrano d’aria (che nelle città al voto il prossimo 3-4 ottobre è anche piuttosto inquinata), visto che non fanno quasi mai menzione dell’argomento. Come se il cibo non fosse un tema politico, come se fosse invece un fatto privato e personale, che ogni cittadina o cittadino risolve da sé.
Beh, abbiamo dimostrato ormai ampiamente che questo è falso: senza una programmazione organica e partecipata, nelle nostre città mangeremo sempre peggio (e molti di noi sempre di meno), mentre le nostre campagne continueranno a svuotarsi, finché l’agricoltore diventerà una figura mitologica, eroe di un tempo passato.
Eppure pensate alle ragazze e ragazzi che popolano le mense scolastiche, ai mercati rionali, ai terreni demaniali abbandonati che potremmo dare in gestione ai giovani agricoltori, pensate al recupero delle eccedenze alimentari e alla loro redistribuzione, ai negozi di quartiere, alle esperienze di agricoltura sociale, ai gruppi d’acquisto e ai circuiti di economia solidale. Pensate a quanti supermercati ci sono in città e all’impatto che hanno sui prezzi e sulla qualità del cibo, alla concorrenza che subiscono gli agricoltori locali che non hanno sostegno pubblico per accedere con più facilità ai consumatori. Non basta più organizzare comizi e comparsate nei mercati rionali senza chiedersi perché gli agricoltori siano quasi spariti dai banchi, né da dove arrivi il cibo esposto. Non si può ridurre un tema serio come il cibo a piani di marketing territoriale che si concentrano sulla misera cartellonistica. Per questo abbiamo dato pagelle piuttosto severe ai candidati in corsa per la vittoria finale. Chissà che questo non aiuti qualcuno di loro a recuperare l’insufficienza prima del suono della campanella.
Michetti - VOTO 3
Turismo gastronomico, grandi eventi per celebrare l’agroalimentare e un bel marchio “Roma” sui prodotti tipici. Ma scusi, per scrivere il programma pare abbia copiato da Meloni, Alemanno, dai giornali, dagli atti parlamentari, perfino dal sito del Parlamento europeo… non poteva copiare pure le nostre proposte sulla politica del cibo? Avrebbe fatto più bella figura!
Gualtieri - VOTO 6,5
Con la sua proverbiale “secchioneria”, l’ex Ministro dell’Economia ha lanciato per primo il programma e lo ha dettagliato a sufficienza. Prevede 30 progetti di miglioramento dei mercati rionali, 50 progetti per il miglioramento della qualità della ristorazione, 50 punti di consegna dei prodotti locali, 5 nuovi farmers’ market. C’è anche la modernizzazione del Centro agroalimentare, quarto polo logistico del cibo in Europa e non manca la proposta di collegare la filiera dell’agro romano alle mense scolastiche, fatto che aprirebbe importanti spazi di commercializzazione del prodotto locale. Arriva perfino a citare una complessiva “politica del cibo”. Occhio però, il PNRR non è una bacchetta magica. Per fare tutte queste cose serve la politica.
Calenda - VOTO 5,5
Giusta la citazione delle tante terre pubbliche in abbandono, ma metterle all’asta e non a bando è il modo migliore per distribuirle a chi ha già il capitale, senza vincolare queste aree a progetti virtuosi e minando il ricambio generazionale e il ritorno alla terra dei giovani. Bene invece la proposta di istituire un assessorato all’agricoltura e alle politiche alimentari, oggi incredibilmente assente nel comune agricolo più grande d’Italia. Positiva l’idea di utilizzare il cibo locale nelle mense scolastiche e di assegnare parte degli spazi nei mercati rionali agli agricoltori diretti. Tutte queste proposte siano frutto di un aggiornamento, perché nella prima versione non ne avevamo trovato traccia. Salvato in corner.
Raggi - VOTO 4
Sindaca, ma che fa? Sotto la sua amministrazione è stata approvata la delibera che darà a Roma una politica del cibo, grazie a una battaglia promossa da un’alleanza di 50 associazioni, reti e personalità del territorio. Perché nemmeno un cenno in 100 pagine di programma? Le va dato atto che in un solo mandato ha mostrato straordinaria abilità nel dilapidare consenso politico, ma questo è davvero gettare alle ortiche uno dei pochi risultati che si poteva rivendere!
Sala - VOTO 5,5
Gioca sul velluto di una food policy già esistente, che risale all’anno di Expo. Propone di concentrarsi sulla riduzione della povertà alimentare, ampliando gli “hub alimentari” presenti in città e sostenendo le reti di cittadini che li gestiscono. Ok, giusto avere un’attenzione per le fasce più fragili, ma tutto il resto? Una politica del cibo dovrebbe connettere le campagne e la città in maniera sostenibile e capillare. Ci aspettavamo qualche idea in più dal sindaco che si definisce ambientalista. A proposito, qualcuno sa se alla fine ha fatto la tessera dei Verdi?
Pavone - VOTO 5
“L’obiettivo di azzerare l’ulteriore consumo di suolo entro il 2050 va realizzato da oggi”. Giusto! Ma come? I grandi annunci seguiti da clamorose retromarce sono un marchio di fabbrica delle recenti esperienze di governo del Movimento 5 Stelle. Speriamo di sbagliarci, perché sul consumo di suolo non si può più transigere. Apprezziamo anche la promessa di sostegni finanziari per le attività agroalimentari e artigianali, con l’obiettivo di rilanciare le economie locali. Ci sembra però ancora troppo poco per dimostrare di avere una visione del sistema alimentare urbano.
Bernardo - VOTO 5,5
I mercati sono il vero tema bipartisan di questa elezione. Da Roma a Milano, tutti promettono che spenderanno per la riqualificazione e il rilancio di queste strutture. Il candidato del centrodestra propone anche un nuovo bando per l’assegnazione dei posteggi nei mercati coperti. Bene! Magari sarebbe meglio specificare che la priorità verrà data agli agricoltori o a chi dimostra di vendere prodotti a km0. Non manca anche un cenno alla necessità di una “valorizzazione del sistema agricolo milanese”, individuando luoghi dove commercializzare i prodotti del territorio e all’assegnazione dei terreni agricoli pubblici agli agricoltori. Promette perfino la redistribuzione dei prodotti non utilizzati dalle mense scolastiche. Il “come”, è tutto da vedere.
Manfredi - VOTO 4
Con tutto quello che il cibo significa per una città come Napoli, nel programma se ne fa appena una generica menzione, e solo per annunciare - grandissimo classico - la lotta agli sprechi alimentari. Più scontato di così c’è solo la sempreverde dichiarazione: “la più grande opera è la messa in sicurezza del territorio”. Come dice? La troviamo a pagina 8? Rettore, vada subito dietro la lavagna!
Clemente - VOTO 5
L’intuizione c’è, ma poi? La candidata della sinistra propone di creare “un sistema di aree agricole tutelate, da valorizzare e da integrare con il tessuto urbano a fini ambientali”. Avvicinare campagna e città è precisamente un obiettivo delle politiche del cibo, ma così è davvero un pochino vago.
Bassolino - VOTO 4
Energia rinnovabile, mobilità sostenibile, idrogeno, treni veloci…Un programma che farebbe lacrimare San Gennaro, ma dalla gioia. Però come facciamo tutte queste cose ce lo spiega, presidente? No, perché così sembra che occorra un PNRR solo per Napoli. Peccato poi che questo slancio immaginativo dimentichi totalmente l’agricoltura e il sistema alimentare. Con quel patrimonio di eccellenze, qualcosa in più ce lo aspettavamo.
Maresca - VOTO 4
Nemmeno un cenno ad agricoltura e cibo anche nel programma del candidato di centrodestra. Unica nota di merito, il passaggio sulla necessità di prevenire l’obesità, dal momento che la Campania è maglia nera in fatto di obesità infantile, con il 40% dei bambini in sovrappeso. Se invece di fare prevenzione portando atleti nelle classi si ragionasse sul sistema delle mense scolastiche, qualche risultato in più potremmo anche raggiungerlo.
Damilano - VOTO 3
Sarà perché ormai si dà quasi per scontato che Torino e il Piemonte siano uno degli hot spot mondiali del vino e del buon cibo, ma non c’è traccia dell’argomento nel programma del candidato a Palazzo Civico per il centrodestra. Tuttavia, il lungo lavoro che l’Università porta avanti da anni per spingere le istituzioni a collegare i puntini e dare alla città una politica del cibo non può essere ignorato. Il candidato si ripresenti dopo aver letto l’atlante del cibo di Torino metropolitana!
Lorusso - VOTO 5
Torino-Piemonte World Food Capital è invece lo slogan che il candidato democratico affida al suo programma. Il confine con la Francia è lì a due passi, sarà per quello che sembra spirare forte anche sotto la Mole il vento della grandeur. E infatti si parla di “sviluppare e mettere in rete tutte le eccellenze del territorio legate al cibo e al vino, dall’agricoltura alla ricerca, dalla formazione all’ospitalità”. La domanda è sì, ma possiamo sapere anche come? Perché è a questo che servono i programmi.
Sganga - VOTO 5
Verdi e 5 stelle a Torino vanno insieme, in nome di uno spirito ecologico che dovrebbe fare da denominatore comune. Ma a parte promuovere l’educazione al cibo nelle scuole, nel programma non c’è traccia di proposte per migliorare le condizioni di chi lo coltiva e di chi ne fruisce, accorciare la filiera e utilizzare la leva pubblica per facilitare la distribuzione alternativa al supermercato. Non ci siamo!
Lepore - VOTO 5
Un assessorato all’agricoltura urbana, fondi per i mercati di quartiere, il lancio di un brand “City of Food is Bologna” come strumento promozionale e… basta. Nel capoluogo di una delle regioni con più alto impatto di allevamenti intensivi, le promesse del candidato che ha i sondaggi in poppa si limitano al marketing territoriale. A Milano - altra città capoluogo di una regione a fortissima presenza di attività zootecniche inquinanti - da 5 anni c’è un progetto di riduzione delle emissioni nelle mense scolastiche, anche attraverso la promozione di cibo senza derivati animali. Prego prendere nota.
Battistini - VOTO 3
A parte alcune perle come “Bologna è il polo logistico dell’Europa meridionale” e l’istituzione di un “garante per le associazioni” (neanche fossero covi di pericolosi criminali), poco resta impresso delle 32 pagine di programma del candidato proposto dalla coalizione di centrodestra. Però ci tiene a chiarire che la transizione ecologica va fatta “senza alcuna preclusione alle esigenze industriali”. E quindi non si farà.
Sermenghi - VOTO 5
Bologna dev’essere una città dove il cibo lo portano le cicogne, o non si spiega il disinteresse generale per il tema nei programmi elettorali. Giusto, come fa il candidato civico, denunciare che “l’esperienza di Fico dimostra che inseguire le mode o gli interessi di gruppi ristretti non è la strada migliore”. Ma da qui offrire un nuovo modello di politica del cibo ci passa un oceano.